Supplemento tuttoLibri — la stampa 16 ottobre 2004
Cario Petrini — C’è un Moscato doppio mosto
E’ quello di Saracena, in Calabria: perfetto da abbinare alla pasta di
mandorle
La ricerca dei prodotti da salvare sembra non esaurirsi mai nella nostra
Italia,anche se parliamo di vino. Realtà antichissime,che mantengono una certa
produzione in virtù soprattutto di un autoconsumo tradizionale, nascondendo
tecniche umane ,varietà vegetali particolari e gusti rarissimi, da riscoprire. È
il caso ad esempio del Moscato di Saracena, in Calabria: un vino che vanta
citazioni negli scritti cinquecenteschi, epoca in cui viaggiava da Scalea verso
la corte papale. Le particolarità di questo prodotto sono molte, a cominciare
dalle uve di cui è composto: Guarnaccia, Malvasia, Odoacra (un vitigno molto
profumato e aromatico) e il Moscato di Saracena. Quest’ultimo è autoctono, non è
mai stato censito e non sembra essere né Moscato di Alessandria. né quello
d’Amburgo: è già una bella curiosità, non vi è nulla di certo, ma il vitigno
merita senz’altro una ricerca scientifica. È poi interessante il procedimento
produttivo, che vede la partecipazione di due diversi mosti. Le percentuali tra
le diverse uve possono variare sensibilmente, ma in genere prevalgono Guarnaccia
e Malvasia, più una piccola aggiunta di Odoacra (che i calabresi in zona
chiamano Odoraca). i grappoli appartenenti a questi tre vitigni, dopo la
vendemmia, vengono pigiati subito e il mosto ottenuto è sottoposto a una
bollitura. che lo riduce a un terzo: un procedimento che aumenta il grado
zuccherino e quindi la quantità d’alcol presente nel prodotto finale.
Il Moscato
di Saracena, invece, dopo la raccolta è appeso a graticci ombreggiati e fatto
appassire per 20 giorni circa. Una tecnica antica e ben nota, diffusissima in italia. che permette una grande concentrazione di zuccheri e aromi. A questo
punto, manualmente (e generalmente sono mani femminili) vengono selezionati gli
acini più belli, eliminando quelli con muffe indesiderate e altri difetti. Segue
una pigiatura estremamente soffice, a mano, da cui si ottiene il secondo mosto.
I due mosti, quello “passito” e quello “cotto”, vengono poi uniti in modo da
generare una fermentazione assolutamente naturale (bastano i lieviti presenti
nelle uve) c:he dura fino a due settimane. Dopo due o tre travasi - e circa sei,
sette mesi di tempo- si arriva all’imbottigliamento. Sono poche le aziende
locali che fanno ancora questo vino, la produzione resta prevalentemente
casalinga e la qualità media del Moscato di Saracena non è ancora di altissimo
livello. Ora i produttori si sono riuniti per cercare di sperimentare soluzioni
che consentano di migliorare il vino, magari trovando un enologo interessato al
progetto e aumentando la percentuale di uve Moscato sul totale (puntando anche
alla registrazione del vitigno autoctono). Il vino è color ambra, davvero
intensamente profumato, elegante in bocca e con una discreta persistenza. Non è
particolarmente adatto all’invecchiamento, non supera i due anni, ma
è sempre perfetto per l'abbinamento - oltre che con i classici da vino liquoroso - con
la sontuosa pasticceria secca calabra: la pasta di mandorle o i “bocconotti di
pastafrolla e marmellata d’arance, per esempio.
Aggiungete il Moscato di
Saracena alla lista dei prodotti da salvaguardare e portare in palmo di mano nel
nostro Paese: una lista sempre aperta, che non smetterà mai di riservarci
sorprese e soddisfazioni.
|